10) Meteorologia dinamica: approssimazione quasi-geostrofica
Meteorologia dinamica: approssimazione quasi-geostrofica
di Claudio Giulianelli
Villa San Giovanni in Tuscia (VT), 1 Ottobre 2020 – Avevamo detto che le equazioni primitive rappresentavano il massimo delle semplificazioni che potevamo fare senza fare approssimazioni discutibili. Si tratta comunque di equazioni abbastanza complicate. Avevamo anche osservato però che, nonostante la divergenza del vento geostrofico non fosse nulla per definizione, il vento sul piano aveva tutte le qualità per essere un vento a divergenza nulla (ricordiamo che guardando una carta della pressione e tenendo conto del fatto che il vento geostrofico segue le isobare, non c’è modo che si creino punti in cui l’aria si accumula, quindi a divergenza non nulla, se non per deviazioni orografiche del vento al suolo che possono creare convergenze, ma non ci interessa in quanto studiamo la circolazione generale dell’atmosfera). Anche l’evoluzione temporale delle figure bariche è lenta, perché lente sono le velocità verticali che le modificano. (si faccia riferimento all’articolo 6)
Quello che possiamo fare allora è dire che il vento sulla Terra è in larga parte geostrofico a divergenza nulla a cui si somma una piccola parte non geostrofica legata alle velocità verticali.
Quanto detto nella frase sopra vedremo a fine articolo che non è sempre vero, le primitive possono essere dunque considerate il massimo delle semplificazioni che possiamo fare senza commettere grossi errori.
Ridefiniamo dunque il vento geostrofico, approssimandolo come somma di un termine preponderante a divergenza nulla più uno abbastanza piccolo a divergenza non nulla da concederci di prendere solo la correzione al primo ordine dello sviluppo di Taylor: linearizziamo dunque il parametro di Coriolis, che ricordiamo essere fatto nel seguente modo
Prima di fare i conti diamogli il significato giusto: stiamo per andare a fare lo sviluppo di f(y) per delle variazioni di tale parametro che siano piccole rispetto ad una fissata latitudine y0, ossia tale correzione vale se ad esempio nel suo percorso la latitudine della massa d’aria varia poco rispetto alla sua posizione media, dunque per piccole ondulazioni del flusso zonale. Non vale più invece nel caso dei grandi scambi meridiani che portano ondate di freddo e gelo alle basse latitudini, tanto che in tale situazione la dinamica è non lineare e la perturbazione che stiamo per trovare non è più piccola.
Scomponiamo dunque il vento in una componente geostrofica a divergenza nulla e in una componente ageostrofica, che sarà quella legata alle velocità verticali. Ora che abbiamo approssimato il parametro di Coriolis in questo modo, nelle equazioni del vento geostrofico possiamo dire che f è circa f0 in quanto beta*y<<f0 ed è dunque trascurabile. f0 ora è una costante e se facciamo la divergenza del vento geostrofico viene nulla. Da ora in avanti dunque per definizione il vento geostrofico Vg sarà rappresentato dalle stesse equazioni trovate inizialmente ma con f pari a f0. Chiameremo Va la componente ageostrofica.
Riscriviamo dunque le equazioni primitive, vediamo come cambia l’equazione del vento per il piano:
Questa è l’equazione di partenza. Ora V=Vg+Va. Abbiamo detto che la componente ageostrofica è piccola rispetto alla geostrofica, dunque Va<<Vg. Quando andiamo a mettere queste due nuove velocità dentro le derivate del membro di sinistra, la derivata temporale e il termine avvettivo di Va sono trascurabili. A secondo membro il termine di Coriolis f*V x K si scompone in 4 pezzi: f0*Vg x K + beta*y*Vg x K + f0*Va x K + beta*y*Va x K. Essendo beta*y e Va piccoli, trascuriamo il quarto termine, l’approssimazione al secondo ordine sarà infatti trascurabile rispetto agli altri termini. Inoltre, con la nuova ridefinizione del vento geostrofico, dalle equazioni sappiamo che f0*Vg x K = (1/rho)*Grad (P), dunque il primo termine dei 4 si annulla col gradiente di pressione nella formula di partenza. Ricordiamo che la forza esterna F presente in atmosfera è dovuta alla forza di gravità, che avevamo però scritto come gradiente del potenziale gravitazionale e inclusa nel geopotenziale, quindi nell’equazione del vento geostrofico.
Alla fine dunque rimane la seguente equazione
Passiamo all’equazione di continuità:
Da ora useremo l’equilibrio idrostatico per scrivere le equazioni in coordinate di pressione invece che in coordinata verticale, faremo dunque un cambio di variabile da derivata in z a derivata p. La velocità verticale si modificherà in questo modo
Dove abbiamo chiamato dp/dt=omega e per il dp a denominatore abbiamo sostituito -rho*g*dz
Anche qua V =Vg+Va. Ora div Vg=0, dunque abbiamo
Anche per l’equazione del calore facciamo una considerazione importante: la temperatura potenziale è funzione principalmente della quota, analogamente alla densità e alla pressione. Dunque scomponiamo la theta in una di riferimento, preponderante, più una piccola correzione ageostrofica. L’equazione del calore, inizialmente così scritta
ora diventa
la theta di riferimento è infatti funzione di z, quindi la sua derivata temporale e avvettiva in x e y sono nulle, mentre in z è la derivata della theta ageostrofica ad essere trascurabile.
Abbiamo riscritto 3 equazioni delle 5 (si ricorda sempre che il vento è un’equazione vettoriale, sono due equazioni una per la x e una per la y e dunque 6 equazioni). L’equazione dell’equilibrio idrostatico l’abbiamo usata per fare il cambio di variabile da coordinata z a coordinata P.
Nelle primitive dovevamo servirci dell’equazione di stato per poterle risolvere, in quanto nel membro di destra dell’equazione del vento compariva il gradiente di pressione. Nelle quasi geostrofiche la pressione non compare più tra le variabili, quindi l’equazione di stato non ci serve. C’è però un altro modo per collegare l’equazione del calore con quella del vento: il vento termico, che ricordiamo brevemente qua sotto
sempre usando la theta al posto della temperatura. Anche qua la f a denominatore è circa f0, mentre la derivata in x e y della theta di riferimento è 0, e la theta a denominatore è invece la theta di riferimento e possiamo trascurare quella ageostrofica
La novità è che essendo ora il vento geostrofico un vento a divergenza nulla, possiamo definire per esso un potenziale, dove le psi sono chiamate linee di flusso
Sostituendo questa nuova definizione di Vg dentro l’equazione di vento termico, otteniamo un’equazione per le linee di flusso
Nota: nella relazione finale per le linee di flusso la g si è semplificata, compare per errore.
Abbiamo trovato il nostro set di 4 equazioni ulteriormente semplificate, set di equazioni noto come approssimazione quasi-geostrofica. Ne faremo uso per mostrare più avanti altri elementi di dinamica atmosferica. Per ora facciamo notare soltanto le seguenti cose:
Abbiamo richiesto che le variazioni di latitudine del flusso siano piccole rispetto a una posizione y0 che ha il significato di una posizione attorno a cui si trova il flusso per tutto il suo tempo. Per esempio con ondulazioni di questo calibro, l’approssimazione funziona ancora molto bene
Come possiamo vedere il flusso è prevalentemente zonale e le ondulazioni di questo sono dunque piccole e ancora considerabili perturbative nell’esempio della figura sopra, all’interno di una circolazione prevalentemente ovest-est. Quando si vengono a creare vere e proprie oscillazioni meridiane nord-sud, il termine beta*y non è più piccolo (nei conti di approssimazione di f, questo termine abbiamo visto essere proporzionale a y-y0, ossia allo scostamento rispetto a una latitudine media che può diventare appunto molto grande con colate artiche verso le basse latitudini) e questa trattazione non vale più, bisogna tornare alle più complicate primitive per poter prevedere gli scambi meridiani.
Un’altra situazione in cui non vale più questo set di equazioni è alle piccole scale: voler risolvere queste equazioni con un modello ad area locale (ossia modelli ad alta risoluzione) per fare previsioni è sbagliato, infatti alle piccole scale le velocità verticali possono diventare grandi localmente, come sul pendio di una montagna, mentre abbiamo detto che la componente ageostrofica del vento, generata dalle velocità verticali, deve essere piccola. Stessa cosa lungo i fronti, dove si sviluppano cumulonembi. Queste equazioni non vedono i fronti.
Altro contesto in cui queste equazioni non valgono più sono le basse latitudini, infatti ricordando la definizione iniziale di vento geostrofico ricavata, in cui il parametro di Coriolis stava a denominatore, la divergenza veniva proporzionale a 1/f. Questo vuol dire che per f che tende a 0, ossia scendendo di latitudine, la divergenza diventa enorme, invece noi abbiamo sempre assunto rimanere molto piccola sulla base di alcune osservazioni fatte. Quindi in questo set di equazioni la divergenza di Va diventa molto grande alle basse latitudini (e dunque Va non è più un termine piccolo/perturbativo e questo va contro le ipotesi fatte per fare i nostri conti), il che implicherebbe la presenza di fortissime velocità verticali , anch’esse non riscontrate (non si tratta della convezione equatoriale, che è un fenomeno dovuto all’instabilità della colonna d’aria, non alla circolazione generale dell’atmosfera). Ma notiamo che in realtà decade già la validità dell’equilibrio geostrofico a basse latitudini, che ricordiamo essere un bilancio tra forza di Coriolis e gradiente di pressione, ossia
fv x K =-(1/rho)*grad(P).
Infatti, se f va a 0, quello che rimane è grad(P)=0. Effettivamente, così è. Alle basse, bassissime latitudini (nella zona intertropicale), non esistono anticicloni o basse pressioni! (esistono gli uragani ma non sono un fenomeno della circolazione generale dell’atmosfera, nascono dai temporali equatoriali citati poco sopra) Ma esiste quella che tra i meteoappassionati viene chiamata “lacuna barica”, ossia una zona di pressioni alte ma con gradienti scarsissimi o nulli. Questa situazione può verificarsi ovunque sulla Terra, e in estate appunto è molto famosa per favorire lo sviluppo di temporali di calore (analogamente a quanto succede all’equatore). Nella zona intertropicale però questa situazione è costante, ed è dovuto al fatto che la rotazione terrestre qui non spinge più le masse d’aria.
Alle medio-alte latitudini sappiamo che i gradienti di pressione possono essere forti, mentre sappiamo che all’equatore i gradienti di pressione sono nulli (lo vedremo sulle carte meteo nel prossimo articolo). E in mezzo cosa succede? Come si passa da un estremo all’altro?
Sicuramente ci aspettiamo che scendendo di latitudine, attenuandosi la forza di Coriolis, vi sia una attenuazione anche dei venti. Per esempio se è in corso un’avvezione fredda da nord, la latitudine della massa d’aria diminuisce. Scendendo verso sud nel frattempo diminuisce dunque il gradiente di pressione che spinge l’aria stessa, che dunque rallenta, rallenta sempre di più fino a che non si annulla. è per questa ragione che non può nevicare nella zona intertropicale per un’irruzione di aria polare!
E ricordando la divergenza del vento geostrofico inizialmente trovato
Vediamo che quando una massa d’aria scende di latitudine, il vento meridionale Vgy è negativo e il parametro di Coriolis diminuisce con la latitudine, dunque la derivata di f in y è anch’essa negativa, mentre la f a denominatore diventa piccola. Questo vuol dire che la divergenza del vento diventa negativa e molto grande in modulo, ma ricordiamo che divergenza negativa implicava aumento di vorticità nel tempo. Quindi arriverà un momento in cui l’avvezione fredda scendendo di latitudine si invorticherà con forza, ed è qui che il suo moto verso sud arriva al punto di annullarsi secondo quanto detto prima. Solitamente questo avviene tra i 25 ed i 30 gradi nord. A latitudini minori l’equilibrio geostrofico non vale più in quanto la divergenza di Va diventa troppo grande e infatti questa approssimazione ci dà un’informazione sbagliata che è l’esistenza di fortissimi moti verticali. Nel momento in cui la discesa fredda si invortica si sviluppano velocità verticali (secondo quanto visto nell’articolo 7 sulla vorticità), succede che l’avvitamento della massa d’aria può essere anche molto forte e si possono formare minimi fino a 940 hpa. Ma le velocità verticali associate sono comunque ancora dell’ordine dei cm/s, quindi la discesa della massa d’aria si blocca prima di arrivare ad una latitudine tale per cui la quasi-geostrofia non vale più. Possiamo dire dunque che le equazioni quasi-geostrofiche valgono fino alla latitudine a cui riescono a spingersi le irruzioni fredde.
Fino a che latitudine può spingersi allora un’avvezione fredda? Per avere un’idea, riportiamo alla mente la storica nevicata di Miami, il 19 Gennaio 1977. Per una breve descrizione dell’evento vi rimandiamo a questo articolo di 3bmeteo
https://www.3bmeteo.com/giornale-meteo/ … uto-180305
Nel prossimo articolo vedremo questo interessante fenomeno sulle carte dei modelli.