24) Meteorologia dinamica: analisi della grande ondata di gelo di fine Febbraio 2018
In questo articolo andiamo a vedere, basandoci su tutte le nozioni introdotte nella rubrica, come si è arrivati alla grande ondata di gelo della fine di Febbraio 2018. La cronaca ci racconta di un evento davvero importante, basti pensare che gli accumuli nivometrici in poche ore furono ingenti, fino a 40 cm a Tolfa e sul monte Cimino, tutti caduti per la gran parte tra le 4 e le 7 del mattino! Non possiamo naturalmente dimenticarci della storica nevicata Romana e delle ancor più insolite successive nevicate a Napoli! Sotto l’aspetto termico, il gelo che seguì i giorni successivi fu di grande potenza e come mai era stato registrato prima d’ora per alcune zone probabilmente, specie per le colline con temperature che diffusamente raggiunsero valori di -8/-9. Temperature fino a -12/-13 nelle piane anche in Maremma dove fu strage di alberi, specie di Eucalipti.
L’evento meteorologico estremo in questione si presta molto bene per spiegare molti dei concetti visti nella nostra rubrica, anche se in realtà eventi meteorologici minori più frequenti sono comunque interpretabili con quanto andremo qui a discutere. Andiamo dunque a vedere cosa nella circolazione atmosferica fece si che potesse realizzarsi l’ondata di gelo più importante degli ultimi decenni.
La stagione invernale in questione, la 2017/2018, iniziò con un Dicembre tutto sommato dal clima della norma, con episodi di freddo modesti e qualche fiocco in collina, piogge e clima umido ma anche qualche bella giornata. Tipicamente la circolazione atmosferica invernale del nostro emisfero è infatti di norma variabile, più della norma in Dicembre 2017. Questo accade perché la presenza di grandi catene montuose alternate ad oceani provoca brusche accelerazioni e decelerazioni del flusso medio zonale continuamente, mentre tale flusso è molto più regolare nel sud emisfero dove l’Antartide è circondato da acque.
Ad inizio Gennaio si realizzò un evento stratosferico anomalo, noto come Stratcooling, sempre più frequente nei nostri inverni, come anche in quello appena passato. Nell’ultimo articolo della nostra rubrica abbiamo parlato degli Stratwarming, ossia dei riscaldamenti della Stratosfera dovuti alla deposizione di momento antizonale da parte delle onde di Rossby che salgono dalla Troposfera. Abbiamo anche detto però che le onde non riescono ad arrivare in Stratosfera se il vento zonale medio qui è troppo forte, infatti viene violato il limite superiore di vento zonale medio per cui possano esistere le onde di Rossby con un numero d’onda K troppo grande. Ossia le onde corte che si portano dal suolo alla Stratosfera vengono riflesse se il vento zonale medio lassù è troppo forte. Quando questo accade, la Stratosfera rimane nel suo stato di equilibrio radiativo, infatti come abbiamo detto nel precedente articolo la condizione di tale strato è dettata prima di tutto dalla radiazione, e la sua circolazione atmosferica dalla rottura delle onde di Rossby che arrivano dal basso. Se queste però vengono a mancare perché vengono riflesse, allora la temperatura della Stratosfera si porta a quella data dall’equilibrio radiativo. Quando ciò accade, quello che si vede è un crollo della temperatura della Stratosfera polare, la temperatura di equilibrio radiativo è infatti decisamente bassa e porta il gradiente termico polo-equatore in Stratosfera a diventare estremo e rinforzare ulteriormente il vento zonale. Possiamo vedere nel grafico sotto la temperatura della Stratosfera polare alla quota di 10 hpa, a fine Dicembre ampiamente sotto la media:
Temperatura della Stratosfera a 10 hpa nella stagione 2017/2018
Da Novembre e specie a Gennaio (zona cerchiata in rosso, a parte per delle fasi più calde a metà Dicembre) ci trovavamo in una situazione in cui il vortice polare stratosferico appariva dunque più freddo del solito e di conseguenza anche il vento zonale medio si era intensificato ulteriormente. Analogamente a quanto abbiamo visto nell’articolo precedente con gli Stratwarming, anche in questo caso vi è una propagazione in Troposfera di tale rinforzo del vento zonale medio dalla Stratosfera. È infatti lecito immaginarsi che se si rinforza il vento zonale medio ad una certa quota Stratosferica, la turning altitude prevista dalla condizione di Charney-Drazin venga portata più in basso. Di conseguenza anche le quote inferiori non riceveranno più le onde con K troppo grande, vi sarà meno deposizione di momento antizonale e anche gli strati inferiori tenderanno a raffreddarsi. La conclusione è che tutta la Stratosfera si raffredda e compatta in un unico grande vortice, e il fenomeno è chiamato Stratcooling. Su tutta la colonna d’aria, fino in Troposfera il vento zonale medio si rinforza e il vortice polare si fa più freddo e compatto, tenendo tutta la sua massa d‘aria gelida ben confinata all’interno delle latitudini artiche.
L’impatto sul clima in Troposfera vede la formazione di profonde depressioni Islandesi che veicolano fronti a ripetizione verso le isole Britanniche e la Norvegia, con piogge e tempeste di vento da ovest a 100-150 km/h che causano anche gravi danni. Nel frattempo sul sud dell’Europa si distende l’anticiclone e il clima si fa invece caldo e siccitoso. Ecco come si presentava la situazione al 16 Febbraio:
Le masse d’aria artica in blu/viola sono ben confinante all’interno delle regioni polari, il vento zonale medio nel nord Atlantico è forte, con un minimo di 975 hpa al suolo sull’Islanda e valori molto bassi di geopotenziale (colori) sul Canada
NAM inverno 2017/2018. Nella zona racchiusa dal poligono: notare il blu nella parte in alto, NAM sopra la norma in Stratosfera in Gennaio e prima metà di Febbraio. In basso NAM negativo a metà Gennaio, ma generalmente neutro o ampiamente positivo per buona parte di Febbraio. Nel mese di Febbraio si nota il blu del grafico su tutta la colonna, dalla Stratosfera alla Troposfera. è la discesa del segnale stratosferico, il rinforzo del vento zonale medio stratosferico si porta fino al suolo. La carta del 16 Febbraio testimonia il momento di touch-down dell’anomalia stratosferica di vento zonale forte in Troposfera.
In Gennaio furono battuti dei record di caldo in Italia, a Roma, con temperature che superarono persino i 20 gradi! Ricordiamo sempre naturalmente che oltre a questo fattore di dinamica atmosferica, il riscaldamento globale fa si che le masse d’aria calda naturalmente presenti ora siano sempre più calde, e quelle fredde meno fredde.
Analogamente allo Stratwarming, anche lo Stratcooling è un’anomalia che si smorza nel corso delle settimane successive alla sua realizzazione, a partire dalle quote stratosferiche. Dopo un Gennaio in Italia caldissimo e siccitoso dunque, arriviamo al mese di Febbraio che alle sue battute iniziali mostra primi segnali di un ritorno ad una circolazione atmosferica movimentata. Guardiamo di seguito cosa accadde nei giorni 31 Gennaio-8 Febbraio:
Abbiamo già visto che al 16 Febbraio il gelo risultava ben confinato alle zone artiche con vento zonale medio forte a causa del trasferimento dalla Stratosfera alla Troposfera di tale rinforzo, originato dallo Stratcooling. In genere però in Troposfera non si manifesta con una perfetta continuità il “segnale” stratosferico, quando abbiamo un lungo periodo di vento zonale medio forte in genere si associano delle fasi di suo indebolimento. è quanto rappresentato nelle carte sopra, possiamo vedere che in prima decade di Febbraio la situazione si è fatta più movimentata.
è evidente subito la differenza con Gennaio. Le carte sinottiche tornano ad essere più movimentate. Apparentemente queste sembrano carte innocue, di una classica debole ondata di freddo verso l’Italia ad inizio mese, ma potete notare in realtà già da qui che tali onde stiano depositando momento antizonale alle latitudini subpolari
Cosa vuol dire depositare momento antizonale? Abbiamo visto che se nella zona subpolare, dove i venti normalmente corrono da ovest verso est, andiamo a mettere un vento da est verso ovest, stiamo andando a mettere un vento antizonale. Si dice “depositare”, perché per generare un vento da est nella zona subpolare dobbiamo mettere un anticiclone in zona polare (da ricordare che il vento ruota in senso orario attorno agli anticicloni). Ma gli anticicloni dinamici hanno la loro casa alle latitudini subtropicali, quindi un anticiclone dalle basse latitudini dovrà allungarsi verso nord e poi rompersi, ossia staccarsi dalla fascia degli anticicloni subtropicali per portarsi sul polo. Il senso del termine “depositare” è quello di suggerire questa azione dinamica data da un anticiclone subtropicale che porta la sua circolazione oraria dalla zona subtropicale a quella polare, ”depositandola” appunto alle alte latitudini.
Guardiamo la carta del 6 Febbraio riportata sopra
Possiamo notare una cellula anticiclonica isolata sull’alta penisola scandinava, e dall’animazione precedente si vede come sia arrivata li dalle basse latitudini atlantiche, si sia staccata da queste e poi isolata, dunque depositando il suo momento. Questo è dunque anche un esempio di rottura di un’onda di Rossby, discusso nel precedente articolo. Abbiamo discusso la rottura di Rossby in sezione verticale, qua vediamo la rottura di una Rossby su una carta sinottica ad una fissata quota.
Ora siamo in grado di capire dai movimenti delle figure bariche su una carta quando sta avvenendo la rottura di un’onda di Rossby, con conseguente deposizione di momento antizonale e rallentamento del vento zonale medio. Una dinamica di rottura alla quota isobarica di 500 hpa come questa rappresentata ci deve far scattare subito la domanda se la deposizione di momento stia avvenendo anche in Stratosfera. La risposta è si, in questo caso vi è stata deposizione anche in Stratosfera e fra poco vedremo il perchè.
Adesso vediamo anche come capire sin dalla sua nascita se un anticiclone sulla carta sinottica sarà in grado di rompersi ed andare a depositare momento alle alte latitudini. Cerchiamo quindi di capire perché questo anticiclone è riuscito a staccarsi dalla zona subtropicale e a portarsi verso quella polare:
Nell’articolo 20 abbiamo visto che se un anticiclone si porta verso il polo allora stiamo osservando un EP-flux essere convergente. L’anticiclone che si stacca dalla sua zona di origine e si porta a nord infatti vuol dire proprio che sta trasportando vorticità potenziale negativa (quella degli anticicloni) verso nord. Abbiamo visto sin dal 20esimo articolo che se la quantità v*Pi, quando è negativa, come in questo caso, gli Eliassen-Palm flux sono convergenti. Abbiamo visto che un EP-flux è la somma di due flussi, un flusso di momento e un flusso di calore, e andando a guardare quando il flusso di momento è convergente o divergente avevamo capito quando un anticiclone presenta una forma tale da portare l’EP-flux ad essere convergente o divergente. Quando l’anticiclone ha una forma ad omega portava l’EP-flux ad essere convergente. Ecco un momento in cui nel Febbraio 2018 si è realizzata la forma ad Omega:
Se ci pensate bene, è naturale che quando appaia una “bolla” anticiclonica di questo tipo, vi sia poi un successivo distacco dalla sua zona di origine (qui in realtà è già avvenuto in larga parte). È una configurazione instabile, che potete osservare in tanti altri casi reali. Basti pensare ad esempio alle bolle di sapone: quando soffiate nel cerchio per far staccare la bolla, questa rimarrà attaccata fino a che la bolla sarà più piccola del cerchio di plastica a cui è attaccata. Ad un certo punto però il suo diametro diventerà maggiore, e tenderà a chiudersi nel punto dove è attaccata staccandosi dunque dal cerchio, anche in quel caso passando ad una forma ad omega nella fase di chiusura della sfera al punto dell’attaccatura. Quando osservate uno scatto sinottico di quel tipo, state osservando lo stesso fenomeno, la forma ad omega indica che l’anticiclone ormai è sufficientemente grande e tende a chiudersi nella sua parte inferiore, rompendo l’attaccatura con fascia subtropicale che l’ha generato.
Ci possiamo chiedere però se potremmo essere capaci, ancor prima, di capire se vi possa essere la possibilità che una cellula anticiclonica subtropicale possa andarsi a gonfiare e disporsi in una configurazione ad omega.
Interviene a questo punto il ciclo di Lorenz dell’energia: avevamo infatti visto nel relativo articolo che gli anticicloni che si disponevano con asse sudest-nordovest erano in grado di rallentare il flusso medio zonale. Anticicloni con tale asse infatti portano, sul loro bordo sinistro, un flusso di momento u’v’ che è negativo, e il ciclo di Lorenz ci diceva che questo porta ad una frenata del vento zonale medio. A parte i calcoli fatti che ci hanno portato a questa conclusione, se ci pensate quando avete un vento di scirocco (da sudest verso nordovest), il flusso di momento u’v’ è negativo. Un vento da sudest infatti lo si può scomporre come somma vettoriale di due componenti, una verso nord positiva e una verso ovest, negativa. Il loro prodotto è negativo, e state trasportando verso nord un vento antizonale (da est verso ovest). Il vento di scirocco è un vento che porta momento antizonale alle latitudini maggiori, analogamente a quanto detto per gli anticicloni polari questo vuol dire che state andando a rallentare il vento zonale medio. Ad inizio febbraio 2018 si è realizzato il caso opposto, la spinta anticiclonica verso nord aveva un inclinazione tale da portare flussi di momento positivi:
Al primo Febbraio si vedeva già che i flussi di momento portati da tale anticiclone erano positivi, essendo l’asse dell’anticiclone inclinato con asse sudovest-nordest. Dunque lecito aspettarsi un rinforzo zonale al di sopra di esso.
La nuova spinta anticiclonica del 4 Febbraio porta ancora flussi di momento positivi, avendo un asse sudovest-nordest
Notare il drastico calo di pressione su tutta la zona cerchiata rispetto allo scatto precedente, con forte gradiente di pressione tra la zona artica e la Norvegia: i flussi di momento positivi dovuti all’asse dell’anticiclone hanno portato ad un’accelerata zonale forte, come voluto dal ciclo di Lorenz
Il ciclo di Lorenz da solo non ci assicura però che vi sia una deposizione del momento antizonale! Solo un trasporto. Non ci dice se tale anticiclone si romperà, soltanto che si sta gonfiando. Senza la rottura, la struttura anticiclonica in formazione ritornerà nella sua zona d’origine alle basse latitudini. Il passaggio alla forma ad omega (e dunque la convergenza dell’EP-flux) è dunque necessario affinchè l’onda di Rossby si rompa. Infatti l’anticiclone in formazione, associato sul bordo sinistro a venti di scirocco, potrebbe avere una forma tale da avere anche sul suo bordo destro flussi di momento positivi, e dunque la struttura mediamente non sta trasportando nessun flusso di momento negativo. Il fatto che i flussi di momento siano negativi non implica che vi sia anche la convergenza degli stessi.
Quindi per prima cosa si va a vedere il flusso di momento in una carta sinottica. Laddove vedete isobare che suggeriscono venti di scirocco vi sarà senz’altro un trasporto di momento antizonale verso nord e la formazione di un anticiclone con asse sudest-nordovest. Dopodichè si andrà a vedere se tale struttura andrà ad assumere la forma ad Omega, allora vorrà dire che l’EP-flux si sta facendo convergente e sarà prevedibile un distacco e il suo movimento verso il polo, con conseguente discesa fredda dalle latitudini artiche verso le basse.
Solitamente delle situazioni sinottiche propizie per la disposizione dei venti dai quadranti sudorientali su larga scala sono quelle in cui le saccature atlantiche affondano sul Mediterraneo. In questo caso venti di scirocco prefrontali possono anticipare il fronte su larga scala, con aria calda in risalita dalla zona mediterranea fino all’Europa centrale. Quando questa dinamica si realizza è facile che un massimo di pressione possa andarsi a formare poi sul nord Europa, mentre in Italia arriva il maltempo e in una fase successiva anche il freddo.
In realtà vi è anche un’altra possibilità per gli EP-flux di essere convergenti, con dunque un loro distacco dalle latitudini subtropicali e spostamento verso nord. L’altro termine degli EP-flux è quello dei flussi di calore verso il polo. Può accadere che vi sia un anticiclone subtropicale che porta con se flussi di momento divergenti e positivi, quindi che secondo il ciclo di Lorenz vanno ad accelerare il vento zonale, con l’asse di tale anticiclone inclinato da sudovest verso nordest. Ma se il flusso di calore è convergente allora può avvenire il distacco dalla fascia subtropicale. Questo è ciò che accade in genere col classico “ponte di wejkoff”, dinamica in cui l’anticiclone delle Azzorre si porta verso la Scandinavia allungandosi da sudovest verso nordest ed è esattamente ciò che accade nelle carte riportate sopra della prima settimana di Febbraio. Quello che si osserva infatti è una forte intensificazione della corrente a getto in questa fase, per via dei flussi di momento positivi associati con geopotenziali in crollo tra Svalbard e Groenlandia, ma il massimo di pressione va poi a staccarsi dalla radice subtropicale isolandosi sulla Scandinavia dove vi è un deciso aumento delle temperature. Potete notare che tale dinamica ad inizio Febbraio si è realizzata in due fiammate di aria calda subtropicale dall’Atlantico verso il nord della Scandinavia. Nell carte delle temperature ad 850 hpa del 1 e 4 Febbraio potete vedere l’aria calda in oceano pronta a spingersi sul nord della penisola scandinava.
Di nuovo, se il flusso di calore è positivo, ossia vi è trasporto di calore verso nord (nel caso appena descritto, un flusso di aria mite oceanica verso la Scandinavia nella dinamica di Wejkoff) , l’anticiclone va a rallentare il flusso medio zonale. Per avere però poi la rottura dell’onda con la effettiva deposizione del momento antizonale e quindi l’EP-flux convergente è necessario che il termine dei flussi di calore sia convergente e riconosciamo sulla carta tale situazione se vediamo l’anticiclone in sezione verticale farsi sempre più solido salendo di quota, secondo quanto visto nell’articolo 21. Senza ricorrere ad un altro tipo di carta in sezione verticale però, col seguente ragionamento siamo in grado anche di rispondere alla domanda che ci siamo fatti precedentemente: la rottura dell’onda avvenuta sull’alta Scandinavia il 6 Febbraio 2018 è avvenuta anche come una rottura della stessa in Stratosfera? Da cosa campiamo che l’EP-flux, in particolare il flusso di calore, è risultato convergente in quell’occasione? Abbiamo detto che se avviene una rottura d’onda, l’EP-flux deve risultare convergente. Ma abbiamo già detto che la spinta dell’anticiclone delle Azzorre verso la Scandinavia avvenuta a partire dal 31 Gennaio portava dei flussi di momento positivi e divergenti per la forma che aveva il promontorio. Dunque l’unica cosa che poteva rendere convergente l’EP-flux i primi di Febbraio era il flusso di calore associato alla spinta dell’anticiclone verso la Scandinavia. La convergenza dei flussi di calore che sappiamo per definizione avvenire in sezione verticale, ed inoltre il ciclo di Lorenz ci dice che il trasporto avvenuto di calore verso nord implica anche un trasporto verticale dello stesso. L’onda si è dunque dapprima propagata in Stratosfera e, con un po’ di ritardo rispetto alla rottura Troposferica, si è rotta anche in Stratosfera. Questo discorso è vero ogni qual volta si ha la formazione di un pattern con anticiclone scandinavo, infatti il massimo di pressione dinamico su tale zona si forma sempre per venti caldi dal basso Atlantico che vengono portati sulla penisola scandinava dall’anticiclone delle Azzorre in allungamento verso nordest.
Aggiungiamo per completezza che invece i massimi di pressione dinamici in zona islandese/groenlandese e mar del Labrador (pattern di NAO negativa come nella carta sopra riportata del 28 Febbraio 2018) si formano in genere più per convergenza dei flussi di momento, in quanto l’aria calda che alimenta l’anticiclone arriva in quelle zone tramite venti di Scirocco.
Nel Febbraio 2018 dunque allo scadere della prima settimana una deposizione di momento antizonale vi è stata in Troposfera, con la conseguente ondata di freddo che ha coinvolto principalmente l’Europa centrale, ed in concomitanza una propagazione dell’onda in Stratosfera dove è avvenuta la rottura e deposizione di momento antizonale.
Dalla mappa in sezione verticale del NAM possiamo notare quanto detto nell’articolo precedente sulla fase finale del TST event, da notare che al 15 Febbraio ma specialmente dal 25 è iniziata la discesa del moto antizonale venutosi a creare in Stratosfera con touch-down attorno al 25. Tale data coincide nella carte con la migrazione di un forte anticiclone a fine mese dall’Atlantico verso la zona artica. Da notare, secondo quanto detto sopra, che tale elevazione verso il polo avviene con un asse non favorevole ad una convergenza dei flussi di momento, ma il flusso di calore è stato talmente intenso da aver consentito dapprima l’elevazione verso nord del massimo di pressione, poi la sua rottura tramite la convergenza del flusso di calore associato, come ci saremmo aspettati. Infatti abbiamo detto che quando la quota di vento zonale medio nullo si porta alle basse quote, tutte le onde di Rossby sono in grado di rompersi e depositare momento antizonale. Nel momento del touch-down è prevedibile dunque vedere degli scombussolamenti tipo questo nelle carte. Ad un certo punto tutte le onde inizieranno a rompersi e la circolazione atmosferica nei bassi strati verrà sconvolta con la migrazione di anticicloni subtropicali al polo e ondate di freddo verso sud.
Crollo del NAM e dunque del vento zonale medio in Stratosfera a metà Febbraio, in concomitanza con gli effetti in troposfera della precedente influenza stratosferica con NAM positivo. Esauritasi l’anomalia positiva, si è subito propagata in basso quella negativa, con l’altitudine critica di Charney-Drazin che si è portata a fine mese al livello del suolo.
Analogamente a quanto accaduto la prima settimana di Febbraio, nella terza decade del mese gli effetti dello Stratwarming si sono manifestati, a conclusione del TST event col touch down dell’anomalia negativa di NAM al suolo e formazione anticiclonica stavolta ben più a nord di quella del 6 Febbraio. La forma dell’anticiclone ci suggerisce che, di nuovo, siano stati i flussi di calore ad essere convergenti. Flussi di calore dall’Atlantico verso le Svalbard iniziati il 20 Febbraio e intensificatisi gradualmente, come testimoniano i seguenti scatti:
Da questi ultimi scatti, per fare un’analisi il più precisa possibile, uno potrebbe notare che tra il 20 e il 23 Febbraio il massimo di geopotenziale che si stava formando sul mar di Norvegia aveva ancora dei valori abbastanza bassi, non dava l’idea di essere un anticiclone forte e quindi che la massa d’aria calda che stava trasportando verso nord non fosse poi così calda. L’intensità di un flusso di calore sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà la temperatura della massa d’aria trasportata, ma dipende anche dall’intensità del vento da sud con cui tale massa d’aria viaggia. Si può notare come la profonda depressione islandese sia stata in grado di portare molto a nord l’aria calda e di produrre venti meridionali forti.
Nella carta del 25 Febbraio invece è interessante notare come il massimo di pressione abbia assunto temporaneamente una forma ad omega, sparita poi il 26 ma ritornata il giorno dopo. La convergenza dei flussi di momento si è dunque aggiunta a quella iniziale dei flussi di calore e come risultato finale vi è stata una forte deposizione di momento antizonale. Nella carta a metà articolo del 28 Febbraio si può infatti vedere come ormai vi sia un vento orientale dalla Russia al Canada!
Vediamo infine come appariva la situazione stratosferica nel momento di rottura dell’onda propagatasi dalla Troposfera il 6 Febbraio.
Nella carta del 5 Febbraio possiamo notare una configurazione tipica delle carte della temperatura stratosferica, con il ben riconoscibile vortice polare stratosferico introdotto nel precedente articolo fiancheggiato da una zona ad alta temperatura, ossia un riscaldamento stratosferico. Questa configurazione è tipica e in una carta Stratosferica spessissimo è possibile trovare una zona soggetta a riscaldamento, in quanto laddove vi è un massimo anticiclonico lo shear del vento zonale medio sarà ridotto e questo provoca un riscaldamento stratosferico, come detto nel precedente articolo. Una carta di questo tipo sta a significare che il vortice polare è fiancheggiato da un anticiclone. Abbiamo dunque un pattern ad una onda, sintomo che il vento zonale medio è piuttosto forte e la lunghezza è enorme, di almeno 10000 km.
Nella carta del 9 Febbraio notiamo che il vortice polare stratosferico è stato spostato dalla sua sede naturale, rimanendo comunque ancora forte. Questa è opera del massimo di pressione stratosferico precedentemente citato che ha tentato una migrazione verso nord, producendo quella che nell’articolo precedente abbiamo definito come condizione di displacement. Da notare però la comparsa anche di una seconda zona più calda, sul nord Atlantico.
Negli scatti successivi è evidente la formazione di un pattern a due onde con la migrazione delle zone calde, e quindi degli anticicloni, verso il polo, mentre il vortice polare stratosferico va a bilobarsi. Stiamo osservando un EP-flux convergente in Stratosfera, infatti lo spostamento degli anticicloni verso nord equivale ad avere il trasporto di vorticità negativa verso nord. Il risultato finale è la completa sostituzione del vortice polare con un anticiclone e quindi la deposizione di momento antizonale con inversione totale del vento medio zonale. Riferendoci a quanto detto nell’articolo precedente sulla Stratosfera, facciamo notare che le onde sono soltanto due, con una lunghezza d’onda dell’ordine dei 5000 km. Quindi la Stratosfera viene a mostrare sempre un pattern a pochissime e molto lunghe onde di Rossby, con evoluzione piuttosto lenta. Questo è dovuto , ricordiamo, da un lato al fatto che il forte vento zonale medio in Stratosfera produce una turning altitude prevista dalla condizione di Charney-Drazin per le onde corte che tentano di salire dalla Troposfera. Dall’altro, come visto nell’articolo precedente, alla forte stabilità della colonna d’aria stratosferica. Avevamo visto infatti nel precedente articolo che il parametro di stabilità della colonna giocava un ruolo nel determinare la scala delle onde planetarie.
In termini di ozono, dal sito https://ozonewatch.gsfc.nasa.gov/ troviamo l’andamento dell’ozono nella stagione invernale
A gennaio (zona cerchiata in blu) vediamo che vi è un deciso calo dell’ozono stratosferico che si porta sotto la media. In questa fase il vortice polare stratosferico chiuso e compatto non consente l’intrusione in zona polare di masse d’aria dalle basse latitudini stratosferiche, e la circolazione di Brewer-Dobson dunque ne risente, si indebolisce in maniera molto significativa e viene a mancare l’ozono in zona artica. Come abbiamo detto nell’articolo precedente infatti, la circolazione di Brewer-Dobson è il nastro trasportatore dell’ozono. I primi giorni di Febbraio vi è un improvviso balzo verso l’alto! Ad inizio Febbraio dunque è avvenuto uno spostamento verso il polo degli anticicloni stratosferici, con successiva rottura del vortice polare, come abbiamo visto nelle carte sopra, a metà Febbraio. Non è un caso naturalmente che questa impennata di ozono stratosferico sia avvenuta i primi giorni di Febbraio, in concomitanza con la rottura d’onda sulla Scandinavia in Troposfera vista precedentemente sulle carte sinottiche. Questo grafico ci conferma ulteriormente dunque che l’onda di Rossby troposferica si sia propagata in Stratosfera depositando il momento antizonale. Nella carta sottostante possiamo invece osservare il vento zonale medio a 10 hpa, in blu il rinforzo dovuto allo Stratcooling e in rosso a inizio Febbraio il tracollo con l’inversione associato allo Stratwarming, tracollo dovuto alla rottura dell’onda di Rossby. Anche in questo caso il tracollo del vento zonale medio in Stratosfera si è verificato proprio all’inizio del mese:
Non disponiamo purtroppo di mappe in sezione verticale dei flussi di calore. Abbiamo infatti detto che la convergenza dei flussi di calore la si vede in sezione verticale, l’ultimo aspetto di questo storico evento che ci rimarrebbe da decifrare sulle carte. Anche se come abbiamo visto sopra, altri elementi ci permettono di capire se una rottura d’onda troposferica (wave breaking) sta portando associati flussi di calore convergenti.
Nel prossimo articolo ci cimenteremo in un’analisi di tipo previsionale, a cavallo tra l’autunno e l’inverno, quando le considerazioni qui fatte tornano ad essere di nostro interesse applicativo.