1)Fluidodinamica: introduzione

di Emanuele Santinami

Lo scopo di questi articoli è di dare una base intuitiva di principi di fisica utili per capire meglio i meccanismi alla base dei fenomeni atmosferici. Le poche dimostrazioni matematiche presenti non sono essenziali per la comprensione degli argomenti in quanto l’obiettivo è quello di esporre i concetti in maniera concreta e con esempi.

 

Molti definiscono la meteorologia come una “scienza inesatta”, basandosi sulla propria esperienza, motivando questa affermazione con il senso di incertezza tipico delle previsioni del tempo, che spesso “non funzionano”.

In realtà, bastano poche informazioni, note agli “addetti ai lavori”, per rendersi conto che, ad esempio, avere una buona affidabilità sulle previsione a due/tre giorni è quasi un miracolo, considerando quanto sia complicato il sistema della Terra, formato da tantissime parti che interagiscono tra di loro. È qualcosa su cui dovremmo lavorare ancora per tanto tempo, nonostante la meteorologia sia sempre stata oggetto di interesse e necessità per l’uomo, che migliaia di anni fa si è iniziato a chiedere che tempo farà e come capire come prevederlo.

La disciplina che ci siamo inventati per chiederci come funziona la natura è la fisica, e lo strumento della fisica è la matematica, che consente, col suo rigore, di quantificare i fenomeni (cioè di esprimerli con numeri). Il punto di vista della fisica è creare un modello che descriva il fenomeno utilizzando la matematica più semplice possibile, a patto che sia ragionevole e funzioni; se questo non dovesse più essere, il modello fisico è sbagliato, e va perfezionato, complicandolo, o bisogna cambiare completamente strada e ricominciare da capo.

Come già detto, il sistema Terra è un sistema molto grande e complesso, e praticamente ogni branca della fisica è necessaria per studiarlo: tutto parte dallo studio del moto della massa d’aria, di cui si occupa la cosiddetta fluidodinamica; il moto è generato da energia, e la nostra fonte di energia è il Sole che irraggia la Terra, e per capire come ciò avviene servono nozioni di meccanica quantistica e di ottica. L’energia del Sole si trasforma in calore, oggetto di studio della termodinamica; infine, per i fenomeni elettrici serve l’elettromagnetismo, e per capire perché si formano i fulmini si deve osservare la struttura dei cristalli di ghiaccio contenuti nelle nubi temporalesche.

L’oggetto principale di questi articoli sarà proprio la fluidodinamica, ma prima è necessario introdurre i concetti matematici fondamentali di cui si serve la fisica. Facciamolo tramite un esempio: la caduta di un grave. Un corpo è lasciato cadere da una certa altezza e siamo interessati a sapere dopo quanto tempo arrivi al suolo. Per farlo, abbiamo bisogno di due informazioni: sicuramente l’altezza da cui è fatto cadere, e se viene tirato verso il basso o lasciato cadere da fermo, quindi la velocità iniziale. Senza accorgercene, abbiamo impostato un’equazione differenziale, cioè un’equazione che contiene derivate come incognite, e la fisica si basa quasi completamente sulla ricerca di soluzioni di queste.

Cos’è una derivata? La definizione matematica/geometrica di derivata in un punto è la pendenza della retta tangente alla traiettoria nel punto, ma fisicamente, possiamo semplificare e considerarla come la “variazione” di qualcosa. Cos’è la variazione di una posizione? Se da un punto ci siamo spostati in un altro, abbiamo acquisito una velocità, quindi la velocità è la derivata della posizione. Poi, la variazione della velocità è l’accelerazione.

Quello che abbiamo fatto noi qui, per risolvere in maniera astratta la questione, è l’opposto. Sapendo g=9.81 m/s, accelerazione di gravità terrestre, abbiamo ricavato la velocità, mettendo come condizione la velocità iniziale; poi dalla velocità si ottiene la posizione, a patto di sapere qual’era la posizione iniziale. Ottenuta questa, si impone che la posizione sia per x=0 (il suolo) e si può esplicitare il tempo di caduta richiesto. Questa operazione inversa della derivazione, si chiama integrazione. Ma mentre derivare è un’operazione abbastanza semplice, integrare è complicato, difficile, si va a tentativi, e molto spesso nemmeno ci si riesce (fortunatamente, in questo caso si puòfare ed è facile). Lo possiamo immaginare così: spezzettare qualcosa, romperla, smontarla, si fa, ma rimettere insieme i pezzi, rincollare i cocci, quello è un altro discorso. Questo punto è cruciale: scriveremo proprio l’equazione differenziale più semplice della fluidodinamica, il punto di partenza teorico per lo studio di qualsiasi fluido.

Intuitivamente, possiamo considerare fluidi i liquidi e i gas, ma forse anche il miele, il fango. Ma una sostanza gelatinosa, ad esempio, è un fluido?

Occorre una definizione precisa di fluido. Da Wikipedia: “Si definisce fluido un materiale (generalmente costituito da una sostanza o da una miscela di più sostanze) che si deforma illimitatamente (fluisce) se sottoposto a uno sforzo di taglio, indipendentemente dall’entità di quest’ultimo: è un particolare stato della materia che comprende i liquidi, gli aeriformi, il plasma e, in alcuni casi, i solidi plastici.”

Quanto abbiamo scoperto ci permette di capire quanto sia importante per noi studiare i fluidi, non solo perché ce ne sono tanti e diversi, ma anche perché, nella nostra esperienza concreta, abbiamo sempre a che fare o con l’aria (il fluido in cui siamo costantemente immersi), o con l’acqua. Infatti, questo tipo di fisica è cruciale non solo per fare le previsioni del tempo, ma per esempio anche nella progettazione di aerei, navi, automobili, ma anche di condotti e tubature, e simulazioni numeri che vengono fatte anche per studiare il comportamento del sistema circolatorio nelle arterie, così da massimizzare l’efficacia di terapie adeguate.

In generale, la meccanica dei fluidi si divide in due settori: la fluidostatica e la fluidodinamica. La prima si occupa di capire come un fluido raggiunga l’equilibrio (banalmente, quando sta macroscopicamente fermo) in base alle forze a cui è sottoposto; la seconda invece come si muove il fluido in base alle forze a cui è sottoposto.   Rientra nella fluidostatica una forza molto conosciuta, la cosiddetta spinta di Archimede, o forza di galleggiamento: un corpo immerso in un fluido tende ad andare verso l’alto, se è meno denso del fluido, altrimenti va a fondo.

Per quanto possa sembrare una cosa semplice, la spinta di Archimede è in grado di spiegare un fenomeno meteorologico comune: la formazione di una nube, a seguito del riscaldamento del suolo. Affrontiamo rapidamente questo argomento, passo per passo.

Consideriamo una superficie solida, e su questa immaginiamo di costruirci un cubetto, senza pareti. Può essere di un centimetro di lato, di un metro, non ha importanza, basta che sia grande rispetto alle molecole di aria. Il cubetto non ha consistenza, ha delle pareti “immaginarie”: l’aria può entrare ed uscire da questo cubetto senza problemi; in altre parole, focalizziamo la nostra attenzione su questo cubetto di aria appoggiato per terra, senza perturbarlo in nessun modo, ed osserviamo le molecole d’aria al suo interno. Ora, supponiamo che la base inferiore sia riscaldata, qualsiasi sia il motivo: potrebbe, ad esempio, essere una porzione di suolo esposta al sole, più calda delle zone circostanti, o magari ci abbiamo acceso un falò. Qualcosa succede all’aria del cubetto: si inizia a scaldare. fisicamente, sappiamo dalla Teoria Cinetica dei Gas, la temperatura è collegata all’energia cinetica del gas, quindi alla loro velocità. Le particelle dentro al cubetto acquistano questa energia e diventano sempre più veloci, quelle fuori rimangono invece nello stesso stato di prima. Ora, possiamo supporre, anche senza conoscere esattamente la traiettoria di ogni singola “pallina” di gas, che alcune di queste particelle siano uscite dal nostro cubetto ideale grazie a questa velocità acquistata. Se potessimo contare le particelle di aria nel cubetto e le confrontassimo con quelle di un altro cubetto nella zona adiacente, ora ce ne sarebbero meno rispetto all’altro. Quello che stiamo dicendo è che, a parità di cubetti (e quindi di volume), l’aria contenuta nel cubetto riscaldato è meno densa di quella degli altri cubetti. Cosa succede a qualcosa che è meno denso del fluido in cui è immersa? Riceve una spinta dal basso verso l’alto, e inizia a galleggiare. Questo fenomeno prende il nome di convezione, ed è il processo con cui l’aria si mette in movimento se riscaldata. Mentre sale, l’aria contenuta nel cubetto immaginario si raffredda (perché normalmente la temperatura diminuisce andando verso l’alto), fino a una certa quota, alla quale il vapore nel cubetto deve per forza condensare: questa quota prende il nome di LCL (Liquid Condensation Level) ed è proprio la base della nube. Poi altre cose possono succedere: la nube si continuerà a sviluppare, più o meno verticalmente, in base a quanto sia stabile o meno l’atmosfera, e in base a quanto vapore d’acqua conteneva originariamente. Ma il punto di questo esempio è di realizzare che la formazione delle nubi, ad esempio, funziona proprio come un rametto che galleggia sull’acqua, ed è spiegabile in maniera molto semplice grazie al principio di Archimede, che allo stesso modo ci permette di capire come si fa a scaldare una pentola d’acqua messa sul fuoco, grazie all’aria calda che sale.