16) Meteorologia dinamica – la cella di Hadley
Meteorologia dinamica – la cella di Hadley
di Claudio Giulianelli
Villa San Giovanni in Tuscia (VT), 30 Aprile 2021 – In questo articolo vediamo subito un altro ruolo importante dell’attrito. Abbiamo già visto che l’attrito ha il compito di andare a dissipare le figure bariche, e lo fa nel giro di una manciata di giorni.
Scopriamo ora che l’attrito ha anche un altro importante ruolo: lo vediamo se inseriamo il termine di attrito nelle equazioni quasi geostrofiche, che ricordiamo brevemente qua sotto
Le avevamo introdotte nell’articolo 10 e scritte in questa forma nell’articolo 13. Queste equazioni sono delle equazioni del tutto generali, in approssimazione quasi-geostrofica chiaramente. Ricordiamo anche che rispetto alle primitive, in più avevamo usato, per ricavarle, il fatto che il vento è in prevalenza geostrofico, ma sono ancora equazioni che descrivono la circolazione generale dell’atmosfera.
Nell’articolo sul ciclo di Lorentz abbiamo fatto la media zonale di queste equazioni, e poi abbiamo fatto il prodotto scalare con la velocità per trovare le equazioni per le energie cinetiche. Ora riprenderemo le equazioni mediate lungo tutto il parallelo, mediate zonalmente, perchè ci interessa capire come l’attrito entra in gioco nella circolazione atmosferica tipica, che è una circolazione zonale
Queste relazioni dicevano lo stato della circolazione zonale ad un certo istante, mediato sulla latitudine.
Ora, noi sappiamo che se si fa una media su lungo tempo, la circolazione atmosferica è con buona approssimazione solo zonale. Quindi facciamo una media temporale del vento in atmosfera. Per quanto abbiamo detto, la componente y del vento non c’è in media, perchè il vento è solo da ovest verso est, quindi se ne va tutta la seconda equazione. Nella prima, il vento zonale mediato nel tempo non è più una variabile dipendente dal tempo, quindi se ne va il termine di derivata rispetto al tempo. Anche i flussi di momento sono nulli, dal momento che le medie temporali delle componenti eddy del vento sono sempre nulle. Ricordiamoci di aggiungere una forzante nell’equazione che è l’attrito, che chiameremo genericamente F_a. Alla fine, di tale equazione rimane la seguente uguaglianza
Il risultato appena ottenuto ci dice che esiste una componente del vento lungo y nella circolazione media atmosferica! Nel momento in cui, naturalmente, esiste anche una forza di attrito, come si vede da questa relazione. Il vento meridionale trovato è la parte ageostrofica, quindi non entriamo in contraddizione con l’ipotesi iniziale in cui abbiamo tolto il vento meridionale geostrofico. Discorso analogo per l’equazione del calore, di cui prendiamo la media zonale già ricavata nell’articolo 13 sul ciclo di Lorentz e ne facciamo la media temporale, ed otteniamo la seguente relazione.
In questo caso osserviamo che in atmosfera devono esistere anche delle velocità verticali medie che caratterizzano la circolazione atmosferica di base.
In sostanza negli articoli precedenti abbiamo studiato la circolazione atmosferica senza attrito ne fonti di calore, come se la superficie della Terra non avesse alcun ruolo. In tal caso la circolazione atmosferica risulta soltanto puramente zonale. Se diciamo che l’attrito ha un ruolo sulla circolazione generale, quindi non solo nel dissipare i singoli vortici, scopriamo che in media la nostra atmosfera, oltre ad avere un vento zonale, ha anche un vento tipico meridionale e verticale.
Proviamo ora a vedere come le componenti meridionale e verticale del vento tipiche danno il contributo alla determinazione della circolazione generale dell’atmosfera.
Anzitutto notiamo che le equazioni dell’approssimazione quasi-geostrofica (in particolare il vento termico) danno una predizione sbagliata vicino all’equatore. Questo lo avevamo già introdotto nel’articolo 10 quando abbiamo visto che all’equatore la divergenza del vento diventava infinita. Noi sappiamo che in prossimità dei tropici, il vento prima si annulla e poi si inverte. In sostanza ad un certo punto avremo che il vento zonale diminuirà scendendo verso l’equatore, andando anche ad invertirsi. Le quasi-geostrofiche ci danno questo risultato invece
Dove abbiamo ipotizzato un profilo termico per la temperatura che decresce con la latitudine come un seno al quadrato. Per poter mettere questa espressione dentro il vento termico, abbiamo portato il vento termico in coordinate polari naturalmente, avendo espresso la temperatura in funzione della latitudine. è stato necessario. Non faremo vedere i passaggi, ricordiamo soltanto che f è scrivibile come 2*omega*sen(fi) con fi latitudine mentre la derivata in y diventa R_t (raggio terrestre) per la derivata in fi, latitudine
Come si può vedere è un vento che aumenta al diminuire della latitudine, infatti il coseno della latitudine è minimo al polo dove fi è 90 gradi, il coseno di 90 è 0. Il vento dovrebbe crescere al diminuire della latitudine fino ad avere il massimo all’equatore quando il coseno è 1. Questo risultato è in disaccordo con la realtà. Infatti esiste un altro fatto che vorrebbe che le cose andassero proprio nella maniera opposta! Ossia esiste un motivo per cui invece il vento dovrebbe crescere salendo di latitudine, con minimo all’equatore: tale motivo è la conservazione del momento angolare.
Il classico esempio (forse chi studia in ambiente scientifico avrà sentito questo esempio fino allo sfinimento) è quello della ballerina di pattinaggio sul ghiaccio che nelle rotazioni a volte si stringono attorno al proprio asse e aumenta la sua velocità di rotazione su se stessa. Il concetto qua è del tutto analogo, la massa d’aria rotante tanto più sarà vicina al proprio asse di rotazione e tanto più ruoterà velocemente. Le masse d’aria delle alte latitudini sono più vicine all’asse di rotazione, dunque per conservazione del momento angolare dovrebbero avere un vento zonale maggiore di quello equatoriale. Il risultato è che le due cose si vanno ad equilibrare ad una certa latitudine. Vediamo dove.
Anzitutto dobbiamo usare questa informazione sul momento angolare. La mettiamo dentro l’equazione di vento termico, infatti ora ipotizzeremo sulla base di quanto detto, un’espressione per il vento zonale medio in funzione della latitudine. Lo ricaviamo dalla scrittura della conservazione del momento angolare. Prima di scrivere la conservazione del momento angolare, ricordiamo brevemente che il momento angolare è l’equivalente rotatorio della quantità di moto per i moti rettilinei, nulla di strano. Nei moti rotatori al posto della massa si usa l’inerzia (prodotto della massa per il raggio al quadrato del corpo), e dunque abbiamo che L=I*omega, con L momento angolare, I inerzia e omega velocità angolare.
Allora l’espressione di conservazione del momento angolare è la seguente:
Spieghiamola: abbiamo una particella alla latitudine iniziale “fi” che si muove verso nord, partendo da una certa latitudine, bassa. Qui il suo momento angolare sarà omega*(R_t*cos(fi))^2, ossia il raggio ad una data latitudine sarà R_t che è il raggio della Terra, che moltiplicato per il coseno della latitudine ci da la distanza dall’asse di rotazione a tale latitudine. Il momento angolare dipende dal raggio terrestre, dunque se la particella va verso nord il suo momento angolare dovrebbe diminuire, in quanto si riduce la distanza dall’asse di rotazione. Siccome però tale quantità deve conservarsi, la massa d’aria che sale verso nord dovrà acquisire velocità zonale U (come già anticipato, la conservazione del momento angolare vuole che i venti zonali siano massimi al polo) e dunque il momento angolare acquisito è il primo termine del primo membro di questa espressione. Se si pensa che U=omega*R_t, torna immediatamente l’identità dimensionale di tutti i termini dell’equazione. Al membro di destra abbiamo il momento angolare totale della massa d’aria, che è la quantità che si deve conservare. Dalla scrittura della conservazione del momento angolare ricaviamo U
è un vento che cresce salendo di latitudine, infatti il seno aumenta e il coseno diminuisce.
Inizialmente abbiamo ipotizzato un’espressione da mettere nel vento termico per il gradiente latitudinale di temperatura, e abbiamo visto ci dava un vento errato. Ora abbiamo imposto noi come deve essere fatto il vento, e lo mettiamo nel vento termico, e vediamo come ci viene fuori il gradiente di temperatura:
anzitutto approssimiamo l’espressione trovata per il vento per piccole latitudini. Quando “fi” è piccolo, il coseno è circa 1 e il seno circa “fi”. Riscriviamo poi fi tornando in coordinate cartesiane, dunque y=R_t*fi, anche nell’equazione del vento termico. U diventa (omega*y^2)/R_t e dal vento termico ricaviamo
la U trovata ed inserita nel vento termico non era funzione di z perchè non ci interessava la dipendenza da z, la derivata di U in z è stata approssimata ponendo H al posto di z, con H generica altezza a cui si trova U.
La relazione sopra trovata può essere integrata e restituisce il profilo latitudinale di temperatura
Come possiamo vedere, è diverso da quello ipotizzato.
Ci troviamo in una situazione in cui abbiamo fatto un’ipotesi sulla temperatura ed abbiamo trovato un vento non realistico. Abbiamo allora fatto un’ipotesi sul vento e abbiamo trovato un profilo latitudinale di temperatura diverso da quello ipotizzato, che comunque sbagliato non era. Confrontiamo allora i due profili latitudinali di temperatura, quello ipotizzato e quello calcolato
La linea continua è il profilo di temperatura ipotizzato, la tratteggiata quello trovato imponendo la conservazione del momento angolare. Il profilo latitudinale ipotizzato, era stato ipotizzato sulla base del riscaldamento solare. Come possiamo vedere il riscaldamento solare genera un profilo di temperatura diverso da quello della conservazione del momento angolare. Ne conseguono moti dell’aria, come verranno appena descritti.
Si nota che fino ai 14 nord di latitudine y, il riscaldamento solare è maggiore della temperatura dell’aria come vorrebbe la circolazione atmosferica. Di conseguenza fino a tale latitudine, vi sono masse d’aria ascendenti: siamo nella zona di convergenza intertropicale, nella zona equatoriale. Attenzione, perchè non stiamo parlando di moti convettivi ad opera di energia rilasciata dai caldi mari tropicali, la termodinamica dei temporali qua non c’entra nulla! A determinare questi moti verticali è tutto il discorso fatto in questo articolo, sono motivi legati alla circolazione atmosferica. Se vogliamo, queste velocità verticali pongono la base per lo sviluppo poi dei temporali tropicali alimentati da fattori termodinamici. Si vede poi che tra i 14 nord e i 37-38 nord è la temperatura dell’aria voluta dalla circolazione atmosferica ad essere maggiore del riscaldamento solare. Allora qua abbiamo moti verticali discendenti, ci troviamo ai tropici, nella zona del deserto del Sahara. La corrente discendente al suolo produce divergenza, con un vento meridionale che torna all’equatore mentre l’aria che sale all’equatore va verso nord fino al tropico. Ecco dunque il ruolo del vento verticale e meridionale trovati inizialmente. La circolazione è chiusa ed è nota come cella di Hadley. Un calcolo del limite settentrionale della cella di Hadley ci fornisce il seguente risultato
y_H è quel punto che abbiamo individuato a 37-38 nord. è curioso notare come tale parametro dipenda da alcuni fattori ipotizzati essere tipici, quali la differenza di temperatura polo-equatore delta theta. Se tale differenza aumenta, la cella di Hadley sale di latitudine. Nel nostro conto sono stati ipotizzati 40 gradi di differenza. Anche theta_0 è un numero che può cambiare, ipotizzato essere 27 gradi in questo conto. Ricordiamo che theta_0 vuole rappresentare una temperatura media tipica della zona tropicale. Se la temperatura media dei tropici aumenta, anche la cella di Hadley (o fascia anticiclonica subtropicale) sale di latitudine, potrebbe essere questo un effetto del riscaldamento globale per esempio (a tal proposito, quello che osserviamo è un forte riscaldamento dell’artico, più che le altre zone, dunque la delta theta si riduce e la cella di Hadley dovrebbe scendere di latitudine).
Vedremo nei prossimi articoli due ultime caratteristiche della circolazione generale troposferica: le onde. Onde di Rossby e di Kelvin, e come le onde possano andare a disturbare anche la stratosfera.